E se addirittura la politica e la psicoterapia si possono definire
narrazione, che dire della memoria, dell’universo dei nostri ricordi? «È una
forma di narrazione che esploro nel mio libro, e che spesso può essere viziata.
Tutti – afferma l’autore – abbiamo piccole storie di vita personali o
familiari, tutti possediamo il senso di chi siamo, di come siamo arrivati fin
qui e quali sono state le nostre esperienze formative. Quella storia di vita
che raccontiamo agli altri e ci raccontiamo su noi stessi si basa sui ricordi.
Il problema è che una volta che s’inizia a scavare nella profondità di questi
ricordi, si scopre che sono sostanzialmente romanzati. Infatti mi piace pensare
alla memoria come a una di quelle pellicole cinematografiche all’inizio delle
quali viene proiettato l’avviso “This movie was based on a true story”». Tuttavia va precisato che le reminiscenze
possono anche avere la funzione positiva di sviluppare l’ego inserendo la
nostra minima vita nel raggio di una storia più ampia e coerente. Ne è perfetto
esempio lo stesso Gottschall, il quale, al termine della lezione in Sormani,
riferisce che una volta, in un paese molto molto lontano del Texas, suo padre,
il padre di suo padre e il padre del padre di suo padre dovettero lottare con
le unghie e con i denti per resistere alla violenza fisico-psicologica di una
società in cui avere una faccia che grida al mondo “sono ebreo” poteva
procurare non pochi guai. «Per questo motivo mio padre mi diceva sempre di non
spifferare ai quattro venti che sono ebreo. Oggi, però, la sua storia e quella
di mio nonno e del mio bisnonno mi rendono più forte. Dal momento che furono
coraggiosi e lottarono per la loro sopravvivenza, anch’io, che faccio parte di
questo tutto, sono un po’ coraggioso».
Tratto da:"SIAMO
L’ANIMALE CHE RACCONTA STORIE": JONATHAN GOTTSCHALL A CONFRONTO CON PESACH - di: Stefania Ilaria Milani
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