IL PASTORE E IL SERPENTE: LA DOTTRINA DELL'ETERNO RITORNO.


Tra i bislacchi personaggi che accompagnano Zarathustra nella sua avventura, vi è anche un nano che espone la dottrina secondo cui tutto ritorna su se stesso e per cui tutto quanto accade ora è già accaduto un'infinità di volte nel passato e accadrà un'infinità di volte nel futuro. 
Nella poliedricità caleidoscopica della filosofia nietzscheana, suona quasi banale questa teoria già esposta similmente dagli Stoici: tuttavia, gli animali che accompagnano Zarathustra, ad un certo punto, intonano una canzone il cui motivo è quello appunto dell'eterno ritorno, il cui significato profondo, però, non è banalmente quello del ritorno perpetuo delle medesime cose, ma è un significato recondito e profondo: tant'è che Zarathustra, in una narrazione in cui aleggia un clima onirico, racconta di aver avuto una visione e di aver visto un pastore che dormiva e a cui entra in bocca un serpente; Zarathustra cerca di aiutarlo ma, non riuscendoci, lo invita a mordere il serpente e così si salva e la vicenda si chiude con una risata liberatoria del pastore. Quale è il significato di ciò? Il serpente che si morde la coda simboleggia il tempo concepito come ciclico e che in un primo tempo può essere concepito come un qualcosa di soffocante, perchè l'idea che tutto ritorni è insostenibile poichè nessuno vorrebbe ripetere all'infinito la propria vita, proprio perchè la nostra vita non è così perfetta da poter aspirare ad essere desiderata per l'eternità. Il morso al serpente sta a significare che è vero che la dottrina dell'eterno ritorno può essere soffocante, ma solo per chi ha un'esperienza di vita non pienamente realizzata. L'oltreuomo, invece, che sa vivere in superficie e vivere pienamente la sua esistenza come un'opera d'arte, può per davvero desiderare di riviverla in eterno e tagliar la testa al serpente vuol dire spezzare il circolo del tempo che ritorna su se stesso e inserirsi in questo circolo ma se tutto torna su se stesso, si può obiettare, non c'è la possibilità di entrare in questo circolo; e questo è l'apparente paradosso della dottrina dell'eterno ritorno. E' vero che non ci si può infilare nel circolo a nostro piacimento, ma tutto si spiega se, come ci rammenta Zarathustra, teniamo presente che le apparenze ingannano e la teoria dell'eterno ritorno è diversa da come sembra. Secondo la logica della volontà di potenza, egli vuole proporci un'interpretazione particolarmente forte del mondo, non una verità, ma un'immagine del mondo che valga la pena di essere vissuta; in altri termini, ci sta dicendo che se ci mettiamo nella prospettiva dell'oltreuomo e se quindi sappiamo vivere pienamente la vita, varrà la pena anche decidere di vivere come se la vita dovesse eternamente ritornare, momento per momento. Soltanto una vita pienamente vissuta si può desiderare che ritorni in eterno, ma solamente un qualcosa concepito come eternamente ritornante assume un valore assoluto tale da poter vivere pienamente la vita: nella dottrina del tempo lineare, ogni istante distrugge quello precedente, ogni cosa è travolta da quella che viene dopo e quindi se accetto tale dottrina non posso vivere pienamente, perchè so che ogni istante sarà distrutto da quello successivo; nella dottrina dell'eterno ritorno, invece, posso vivere la vita fino in fondo perchè ogni cosa che faccio ha un valore assoluto, poichè si sfugge tempo lineare per cui ogni cosa che si fa viene mangiata (e quindi privata di significato) da quella successiva (il mito di "Cronos", ovvero il tempo, che divora i propri figli). Se l'eterno ritorno viene considerato non come dottrina metafisica, ma come interpretazione, allora il paradosso per cui si entra nel circolo si dilegua: posso decidere di vivere come se ci fosse l'eterno ritorno, desiderando con ardore di rivivere ogni singolo istante della vita per l'eternità ( amor fati ): " la mia formula per la grandezza dell'uomo é amor fati: che cioè non si vuole nulla diverso da quello che é, non nel futuro, non nel passato, non per tutta l'eternità " ( Ecce Homo ). E così, la fase precedente al nichilismo, quella cioè dei valori morali e di Dio, simboleggia l'eternità, mentre quella del nichilismo passivo, privo di valori assoluti, è il tempo lineare che tutto travolge e nulla ha senso; l'ultima fase, quella del nichilismo attivo, è il divenire continuo che assume valore assoluto e tutto ciò è quanto accade nella dottrina dell'eterno ritorno, la quale fa assumere dignità di assoluto al divenire, tutto fluisce ma in modo circolare. E così si capisce la vicenda del pastore: soffocato in principio dall'interpretazione banalizzante dell'eterno ritorno, riesce ad entrare nel circolo dell'eterno ritorno e col riso esprime la sua piena felicità.


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