APPUNTI

LA CULTURA

Dicono che ciò che distingue l’umano dal non umano è la coscienza del contesto. L’uomo è in grado di commisurare il cambiamento al contesto decidendone a priori la sorte.
Abitare, come abito, abitudine, significa starci dentro, coprirsi, circondarsi di cose.
L’habitat dell’uomo è ormai la sua cultura. La cultura, definita già da Cicerone la seconda natura, è stata inventata dall’uomo per difendersi dalla natura, da se stesso, dai suoi simili.

Nella cultura ci sono le religioni, la letteratura, il teatro, il cinema, la musica, la pittura, la scultura, la poesia.
Abbiamo visto come l’uomo abbia inventato la cultura per piegare alle sue esigenze, alle sue necessità, la natura, spesso per contrastarla. Quando la cultura rifiuta la sua dipendenza sistemica dai cicli, dai ritmi, dai codici, dall’ordine della natura, la perde di vista e genera programmi non sostenibili. Si dice spesso che la scienza è in grado di illuminare, ma anche di accecare.
La prerogativa del sistema natura è indubbiamente la sapiente e innata capacità di auto alimentarsi, di rigenerarsi attraverso il continuo e sistematico riciclo delle proprie risorse, di nutrirsi del proprio consumo.
Tutto in natura, da un corso d’acqua a una foresta o a un oceano è un “complesso sistema di sistemi”.
La cultura nasce all’interno di questi sistemi e ne fa parte. La rottura sistemica può definire una situazione di non sostenibilità.
Questo rischio si può ridurre mediante l’informazione. L’importante non sta nella quantità di dati, ma quanto e cosa ci possono dire, valorizzando le origini storiche delle diverse civiltà, delle diverse culture. Ricchezze all’interno di una unica razza. Non differenze razziali, ma culture diverse adattate a habitat differenti.

La cultura, che riguarda la conoscenza, l’alimentazione, il comportamento, il modo di comunicare, le regole di convivenza, è in grado assieme al luogo e al suo clima di modificare le caratteristiche fisiche dell’uomo, le sue posture, la sua fisionomia, il colore della sua pelle.
La cultura va oltre le regole evolutive darwiniane della modificazione della specie. La cultura è in grado di creare, e ha creato, grandi differenze all’interno dello stesso e unico ceppo della razza umana. Le differenze così dette razziali sono esclusivamente culturali, conoscerle ci arricchisce enormemente.



IL VIAGGIO

Turista è colui che si reca a visitare un luogo e poi torna a casa, il viaggiatore raggiunta la meta ne sceglie subito un’altra e poi un’altra ancora.
Per la beat generation il viaggio (trip) è soprattutto quello della mente. La dislocazione del corpo solo la conseguenza di un viaggio voluto e anticipato dal sogno.
In effetti pare che i più grandi viaggi si facciano senza spostare il corpo, sognando senza nemmeno informare la nostra memoria razionale – perché tutto è già successo e dentro di noi – o più semplicemente leggendo vite raccontate da altri.
Lo scrittore sardo Salvatore Niffoi nel suo ultimo libro Il bastone dei miracoli affida la vita alla morte o meglio alla memoria, l’unica in grado di mantenere eterno il nostro viaggio in questo mondo.
I giapponesi chiamano il culto del tè cha-do, la via del tè. Il concetto taoista di “sentiero” conferendogli una dignità filosofica fatta di cerimonie in grado di progredire la nostra mente.
Eraclito, più di 2500 anni fa garantiva che “nessun uomo può entrare due volte nello stesso fiume perché né il fiume né lui stesso saranno mai uguali”.
Che dire del viaggio evolutivo di ogni essere vivente, dai primordi a oggi e poi chissà fino a dove. E perché poi le varie specie, costrette a evolversi per sopravvivere, garantiscono contemporaneamente, con i loro mutamenti, anche la sopravvivenza dei loro predatori in una complessa ma rigorosa complementarietà? Come riuscire a credere o a non credere nel disegno complessivo che guida questo viaggio infinito?
Ma forse il vero viaggiatore è il pellegrino. Quello che più di ogni altro si adatta agli usi e ai costumi dei luoghi, della gente che li abita perché da questi vuole accrescere la propria cultura, la propria conoscenza.
I fenici furono veri viaggiatori interessati al dialogo e all’apprendere più che alla conquista. A differenza degli altri popoli dell’epoca, tenevano pacificamente rapporti commerciali lungo tutte le coste del Mediterraneo. A loro dobbiamo l’alfabeto e molte delle tecniche artigianali e di produzione agroalimentare ancora in uso come la navigazione notturna, la raccolta del sale marino, la pesca del tonno.
I romani furono viaggiatori moderni e conquistatori anomali, a questo si deve la loro fortuna. Nati da un complesso miscuglio di popoli italici ed etruschi, sentivano il bisogno di una propria identità culturale. Evitarono sempre di imporre la propria religione, al contrario la arricchirono con una grande quantità di nuove divinità e questa fu probabilmente la vera forza della loro tecnica conquistatrice.
È forse grazie alla coscienza della necessità di assimilare anche un sapere umanistico, per rafforzare la propria potenza, che praticarono quella tolleranza che li portò a un vero innamoramento per la cultura greca, tanto da spingerli ad adottare, assieme alle divinità dell’era ellenistica, quella formidabile civiltà. Una civiltà che era riuscita attraverso la mitologia – quindi l’arte – a coniugare un grande fervore sociale assieme alla passione politica, a un’economia fiorente e a un’invidiabile stabilità sociale.
È assimilando il sapere dei popoli orientali che incontrarono sul cammino di conquista che si civilizzarono, aprendo al loro interno quel dibattito sociale (allora tra magistrati e militari) che sarà l’idea stessa di progresso per tutto l’occidente e gettando contemporaneamente le fondamenta di tutta la nostra cultura dal Rinascimento italiano in poi.
Al contrario la precarietà del nostro sistema sociale è responsabile di un nuovo nomadismo, quello urbano. Nella nostra società si è insinuata da tempo una nuova necessità, un desiderio di mobilità e di flessibilità che corrisponde a una richiesta di anonimato, di rinuncia alle responsabilità imposte anche dai luoghi di lavoro, ma anche dell’abitare.
Una specie di passione per i non luoghi, per i luoghi privi d’identità, ambienti spogli dove perdersi, abbandonarsi al nulla, forse alla ricerca di nuove frontiere dove tutto può succedere e quindi dove ricominciare.
Del resto come spiegava molto bene Bergson: “Il tempo non è come una collana, ma come un gomitolo. In esso il passato convive con il presente, gli fa da supporto, lo alimenta continuamente di sé”.
                       

IL CORPO

.... Il corpo umano, così come la città e la società, non è un insieme di diversi “sistemi funzionali” la cui armonia garantisce la salute dell’organismo, bensì, come sostengono poco gli architetti e molto di più gli antropologi, frutto di un sistema basato soprattutto sui conflitti. La città vitale è fatta da un’infinita sovrapposizione di funzioni necessariamente in conflitto fra di loro perché la città è prima di tutto un insieme eterogeneo di persone che convivono.
Se vuoi alienare un uomo devi sezionare le sue attività, separare il lavoro dal tempo libero: otterrai uno specialista alienato e ferito.
Se vuoi alienare una città devi zonizzarla per attività e destinazioni d’uso: zona commerciale, zona del tempo libero, zona produttiva.
Abbiamo visto che non è un problema di distanze, di mezzi di comunicazione, nemmeno di decoro urbano. La gente socializza sul posto di lavoro, dove ha dei conflitti, non dove non ne ha. Si associa, si coalizza, si conosce, si frequenta soprattutto quando ha dei problemi, per risolverli e andare avanti.
L’organismo umano è abituato a combattere, reagisce alle sollecitazioni sacrificando anche alcune parti se necessario, ma sceglie da solo all’interno della sua complessità e noi pressoché sconosciuta.
Direi che il più grande difetto delle nostra epoca è lo sviluppo della specializzazione che ci fa perdere di vista l’insieme. Vale per la medicina: grandi specialisti che risolvono egregiamente patologie specifiche senza sapere da dove nascono.
Questa idea di scomporre per poi riunire in modo armonico perché nessuna parte danneggi l’altra è così infantile! L’uomo non sa creare e allora smonta il giocattolo per poi rimontarlo, ma i pezzi che gli avanzano sono assolutamente vitali e il giocattolo è lì, magari più bello ai suoi occhi, ma non funziona più...


LA TRIBU'

Il desiderio o forse il bisogno di appartenenza al gruppo ci porta a rivivere quella parte ancestrale ed emotivamente più epidermica della nostra esistenza sulla Terra mediante il travestimento, trasformandolo in uno stile di vita anche contro l’establishment.
Un meccanismo affatto difficile da comprendere, del quale il consumismo si è immediatamente impossessato, trasformandolo in bisogno di moda, di quel genere di moda che ci colloca all’interno di uno status al quale ci fanno desiderare di appartenere.
La tribù ha come prerogativa per la sua sopravvivenza la comunicazione immediata, contrassegnata da una propria lingua e da un modo interno di comunicare. Da qui l’incredibile successo della Apple che attorno alla comunicazione e al modo di comunicare ha costituito, tra milioni di sconosciuti, la prima tribù globale. La comunicazione, il trasporto in tempo reale dell’informazione è infatti oggi il vero surrogato al bisogno di nomadismo, ma manca il legame vero della tribù, il bisogno del confronto giornaliero anche nel conflitto.
Azzerate, mediante la tecnologia, le qualità innate e i limiti delle facoltà naturali dell’uomo, vista, udito, capacità di tramandare a memoria nonché i tempi prima necessari a veicolare le informazioni tra più località e famiglie, non vi è più alcuna differenza tra la comunicazione interna e tra le più diverse comunità.
Quando le distanze non significano più niente, località e corpi perdono significato.
Non lo stare assieme ma l’evitarsi è diventata la strategia per sopravvivere alle megalopoli contemporanee. Le fortificazioni non sono più all’esterno della città, ma nelle città stesse, garanzia di sicurezze individuali.
L’informazione affidata alla tecnologia modifica gli spazi comuni dedicati alla comunicazione e agli incontri che si restringono e si rarefanno. La città si modifica e le comunità, le popolazioni locali, si trasformano in un’accozzaglia di entità prive di legami reciproci. Le regole piovono dall’alto, un alto sconosciuto. La giustizia si comporta senza alcuna discussione con la comunità. Non è possibile rivolgersi ai giudici per alcuna domanda significativa. I loro verdetti non hanno più alcun legame con la vita reale, non è più possibile metterli in discussione sulla base delle effettive esperienze della gente.
Siamo ridiventati tutti nomadi senza la necessità dello stare assieme, sempre in contatto uno con l’altro senza conoscerci.


*****************************************************************************************************

La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione.
Franco Basaglia,Che cos'é la Psichiatria,1967

Si nasce tutti pazzi. Alcuni lo restano.
Samuel Beckett, Aspettando Godot, 1952

In un'epoca di pazzia, credersi immuni dalla pazzia è una forma di pazzia.
Saul Bellow, Il re della pioggia, 1959

Matto. Affetto da un alto grado di indipendenza intellettuale; non conforme ai modelli di pensiero, parola e azione, che la maggioranza ricava dallo studio di sé stessa. In poche parole, diverso dagli altri.
Ambrose Bierce, Dizionario del diavolo, 1911

Pazzo. Chi ha il vizio di credere che tutti gli altri siano tali.
Ambrose Bierce, Dizionario del diavolo, 1911

I tre quarti delle follie non sono che stupidaggini.
Nicolas de Chamfort, Massime e pensieri, 1795 (postumo)

La maggior parte delle pazzie ha la sua sola radice nella stupidità.
Nicolas de Chamfort, Massime e pensieri, 1795 (postumo)

I pazzi aprono le vie che poi percorrono i savi.
Carlo Dossi, Note azzurre, 1870/1907 (postumo 1912/64)

Pazzo: razionalista in anticipo per i suoi tempi.
Georges Elgozy, Lo spirito delle parole o l'Antidizionario, 1981

Questo è il più sicuro sintomo di pazzia: i matti sono sempre sicuri di stare benissimo. Soltanto i sani sono disposti ad ammettere che sono pazzi.
Nora Ephron, Bruciacuore, 1985

Senza il condimento della follia non può esistere piacere alcuno.

Mai la psicologia potrà dire sulla follia la verità, perché è la follia che detiene la verità della psicologia.
Michel Foucault, Malattia mentale e psicologia, 1954

Bisogna fare cose folli, ma farle con il massimo di prudenza.
Henry de Montherlant, Servizio inutile, 1935

La follia è nei singoli qualcosa di raro − ma nei gruppi, nei partiti, nei popoli, nelle epoche è la regola.
Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male, 1886

È così necessaria la follia degli uomini che non essere folli vorrebbe dire esserlo in un altro modo.
Blaise Pascal, Pensieri, 1670 (postumo)

L'ottica dei pazzi è da prendersi in seria considerazione: a meno che non si voglia essere progrediti in tutto fuorché sul problema dei pazzi, limitandosi comodamente a rimuoverli.
Pier Paolo Pasolini,Scritti corsari, 1975

Avendo visto con quale lucidità e coerenza logica certi pazzi giustificano a se stessi e agli altri, le loro idee deliranti, ho perduto per sempre la sicura certezza della lucidità della mia lucidità.
Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine, 1982 (postumo)

Lo sai che cosa è pazzo? Pazzo è quello che impone la maggioranza.
L'esercito delle 12 scimmie, 1995

Quando un pazzo sembra perfettamente ragionevole è gran tempo, credetemi, di mettergli la camicia di forza.
Edgar Allan Poe, Racconti straordinari

Tutti siamo costretti, per rendere sopportabile la realtà, a tenere viva in noi qualche piccola follia.
Marcel Proust, All'ombra delle fanciulle in fiore, 1919

Follia: l'entusiasmo degli altri.
Charles Régismanset, Nuove contraddizioni, 1939

Ciò che sorprende e rattrista di più nella pazzia è che essa, nonostante il luogo comune, non attua alcuna evasione o libertà dal reale: al contrario vi soggiace supinamente; ne subisce − isolati e ingigantiti − alcuni elementi, alcuni schemi, che non cessa di ripetere fino alla monotonia, fino all'ossessione, fino appunto alla pazzia.
Mario Andrea Rigoni, Variazioni sull'impossibile, 1993

Il primo passo verso la follia è credersi saggio.
Fernando de Rojas, La Celestina, 1499

Tutti gli uomini sono pazzi, e chi non vuole vedere dei pazzi deve restare in camera sua e rompere lo specchio.
Donatien-Alphonse-François de Sade (attribuito)

Dalla prigione di essere sempre sé stessi per tutta la vita, se ne esce soltanto con la pazzia o con la morte.
Giovanni Soriano, Maldetti. Pensieri in soluzione acida, 2007

Voler essere come tutti gli altri e temere di essere sé stessi è il primo passo verso la follia.
Giovanni Soriano, Finché c'è vita non c'è speranza, 2010

La pazzia è come le termiti che si sono impadronite di un trave. Questo appare intero. Vi si poggia il piede, e tutto fria e frana.
Mario Tobino,Per le antiche scale, 1972

Il folle è consapevole di esserlo? O i pazzi sono coloro che vogliono convincerlo della sua follia per salvaguardare la loro esistenza insensata?
Carlos Ruiz Zafón, L'ombra del vento, 2001





 

 



 



 

Nessun commento:

Posta un commento