IL VERBO AMARE MANCA DI PRECISIONE

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Quando si parla del male e della violenza, in pace come in guerra, i bambini si vorrebbe poterli escludere. Eppure, se scaviamo nella memoria, ci accorgiamo che spesso il ricordo – di un evento bellico, di una carestia – si è fissato intorno a un’istantanea che minaccia il cucciolo dell’uomo.
I bambini sono il logotipo della guerra, però sono anche il simbolo usato da chi la combatte. Sono ritratti per dire basta alla escalation del conflitto, per scuotere le opinioni, per commuovere – sono sempre loro il brand delle campagne di raccolta fondi. Ma, se si provasse a solidarizzare, a raffigurarsi la vita reale di quegli infanti si rischierebbe di essere sopraffatti dalla tristezza. Dunque, cigli asciutti, bisogna resistere, soprattutto, abituarsi alla non-compassione.
È quello che riescono a fare benissimo Claus e Lucas, i gemelli protagonisti di La trilogia della città di K.  della scrittrice ungherese  Agota Kristof, , la cui infanzia e giovinezza sono state segnate dai drammatici rovesciamenti della storia est-europea. Tutta la sua opera può essere letta come un tentativo, spinto all'eccesso, di resistere a ogni forma di partecipazione “perché il verbo amare non è un verbo sicuro, manca di precisione e di obiettività”.
Da piccoli, durante una guerra, i gemelli fanno esercizi, si addestrano al dolore e all'indifferenza in una Piccola Città dove si ritrovano circondati da eserciti stranieri e frontiere minate, da figure spaventose come in una fiaba nera, Nonna, Nostra Madre, Nostro Padre. L’istinto di sopravvivenza li spingerà a scrivere tutta la loro vita in un grande quaderno. Poi cresceranno e sanno che dovranno separarsi: uno di qua uno di là dalla frontiera. L’incontro intimo tra due esseri umani è impossibile, il contatto produce violenza, non c’è alcuna possibilità di riconoscimento.
Nell'Esercizio di accattonaggio”: “Una donna passa. Tendiamo la mano. Lei dice: – Poveri bambini. Non ho niente da darvi. Ci accarezza i capelli. Diciamo: – Grazie. Un’altra donna ci dà due mele, un’altra dei biscotti. (…) Rientrando gettiamo nell'erba alta che costeggia la strada le mele, i biscotti, il cioccolato e anche le monete. La carezza sui capelli è impossibile gettarla”.






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