ORFEO E EURIDICE

Risultati immagini per orfeo e euridice canovaAveva lo sguardo fisso. Lo sguardo di chi è sceso all’ inferno con la scusa di salvare qualcun altro, ma alla fine intraprende il viaggio per ritrovar se stesso.
Il mito di Orfeo e Euridice sollecita la riflessione su capitali questioni filosofiche e perciò si pone alla base della cultura occidentale, in connessione al problema del limite escatologico, del rapporto fra amore e morte, dell’inesorabilità del destino.
Orfeo, il primo dei poeti, scende per amore nel regno dei morti: con lui nasce il topos del nesso tra amore, morte, poesia. Amore e morte sono i poli della contraddizione perenne della vita umana, fin dalla nascita, quando, neonato, l’uomo oscilla tra due forze: quella che spinge a tornare nel buio del ventre materno (buio in greco è orphé, radice del nome di Orfeo) e quella che attrae verso il mondo, luminoso e sconosciuto. Né l’una né l’altra forza sono la vita: lo è solo la tensione fra le due. A tentare di sanare il dissidio tra ombra e luce, tra discesa e ascesa, tra finito e infinito, insorge nell’uomo ciò che gli antichi chiamavano poiesis, dal verbo poiéo, creare. La traduzione «poesia» è limitativa, perché non si tratta di una creatività solo letteraria, ma di qualsiasi forma di creazione che vuole esprimere e alleviare la lacerazione della nostra anima, preda di due forze in conflitto (la dionisiaca e l’apollinea, si potrebbe dire) dando un’interpretazione del doloroso mistero in cui viviamo e superando in qualche modo il limite intrinseco dell’uomo.
Perché Orfeo si volta?
Pur avendo avuto una concessione così straordinaria ed essendo ormai sul punto di vedere coronato dal successo uno sforzo che lo ha condotto ai limiti dell’umano, Orfeo si volta e viola così il patto stabilito. Perché? Che cosa lo induce a quello che può apparire appunto solo un gesto di insania? Non si può chiedere ragione di ciò che alla ragione si sottrae.
Orfeo: Tu dici che sei come un uomo. Sappi dunque che un uomo non sa che farsi della morte. L’Euridice che ho pianto era una stagione della vita. Io cercavo ben altro laggiù che il suo amore. Cercavo un passato che Euridice non sa. L’ho capito tra i morti mentre cantavo il mio canto. Ho visto le ombre irrigidirsi e guardar vuoto, i lamenti cessare, Persefòne nascondersi il volto, lo stesso tenebroso-impassibile, Ade, protendersi come un mortale e ascoltare. Ho capito che i morti non sono più nulla.
Bacca: Il dolore ti ha stravolto, Orfeo. Chi non rivorrebbe il passato? Euridice era quasi rinata.
Orfeo: Per poi morire un’altra volta, Bacca. Per portarsi nel sangue l’orrore dell’Ade e tremare con me giorno e notte. Tu non sai cos’è il nulla.
Bacca: E così tu che cantando avevi riavuto il passato, l’hai respinto e distrutto. No, non ci posso credere.
Orfeo: Capiscimi, Bacca. Fu un vero passato soltanto nel canto. L’Ade vide se stesso soltanto ascoltandomi. Già salendo il sentiero quel passato svaniva, si faceva ricordo, sapeva di morte. Quando mi giunse il primo barlume di cielo, trasalii come un ragazzo, felice e incredulo, trasalii per me solo, per il mondo dei vivi. La stagione che avevo cercato era là in quel barlume….
…Bacca: Dici cose cattive… Dunque hai perso la luce anche tu?
Orfeo: Ero quasi perduto, e cantavo. Comprendendo ho trovato me stesso.
Bacca: Vale la pena di trovarsi in questo modo? C’è una strada più semplice d’ignoranza e di gioia. Il dio è come un signore tra la vita e la morte. Ci si abbandona alla sua ebbrezza, si dilania o si vien dilaniate. Si rinasce ogni volta, e ci si sveglia come te nel giorno.

Orfeo: Non parlare di giorno, di risveglio. Pochi uomini sanno. Nessuna donna come te, sa cosa sia.

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