"Essere e tempo, l’opera più affascinante di Martin
Heidegger, rivela la propria enigmaticità nella sua stessa struttura
costitutiva che, ponendo la questione del senso dell’essere in generale, resta
incompleta, interrompendosi proprio nel passaggio dall’analisi della
temporalità dell’Esserci all’interpretazione dell’essere stesso in rapporto al
tempo, configurandosi in termini compiuti come ontologia fondamentale.
Essa comincia dunque con un’analisi dell’essere dell’uomo,
che assume una funzione preparatoria, e che viene condotta partendo dalla
"quotidianità" (Alltaglichkeit) o dalla "medietà"
(Durchschnittlichkeit), in modo da evitare la sedimentazione dell’analisi su un
aspetto preso come essenziale prima di una problematizzazione dell’essere nella
sua generalità. Che prenda in considerazione, insomma, i modi di essere possibili dell’uomo. Proprio questa considerazione dell’essere dell’uomo
come possibilità costituisce la specificità dell’analitica dell’esistenza. Questa è la distanza che separa l’analitica esistenziale da tutte le "scienze
umane", che assumono invece l’essere dell’uomo non come
"possibilità", ma come qualcosa di già dato, giusta la
definizione della antropologia antico-cristiana, per cui homo est animal
rationale». In tal senso, l’uomo si
rivela come "poter essere": in ciò risiede la peculiarità
dell’esistenza (ex-sistere, «oltrepassare la realtà semplicemente-presente in
direzione della possibilità»). Per
questo, Heidegger contrappone alle "categorie" che caratterizzavano
l’essere degli enti semplicemente-presenti, gli "esistenziali", i
modi possibili di essere dell’uomo.
LA GENUINITÀ’
DELLA COMPRENSIONE
La costituzione fondamentale dell’Esserci è rappresentata
dalla nozione di "essere-nel-mondo". Il mondo, però, non è qualcosa
di separato dall’Esserci, in cui esso si venga a trovare. L’esistenza è sempre situata, ci è, è gettata nel mondo in quanto
"progetto", e a tale progetto il mondo stesso coappartiene
ontologicamente. Esso, insomma, è un carattere dell’Esserci, un esistenziale
appunto, «esso fa parte del suo esser-se-stesso in quanto essere-nel-mondo».
Come afferma Costantino Esposito, «prima che in ogni mutevole
umore, è proprio in questo
esser-gettato, cioè nella sua stessa "fatticità", che l’Esserci si
sente situato: tant’è che nessun atto di conoscenza o di volontà, nessuna
interpretazione "razionalistica" o "irrazionalistica"
potranno mai annullare questa enigmatica situazione ontologica».
Ci interessa sottolineare adesso come per Heidegger l’Esserci è nel mondo, oltre che come
affettività, come comprensione. Gli enti che si incontrano nel mondo sono
dati all’uomo inseriti in una serie di significati e di rimandi rapportandosi
ai quali l’Esserci si comprende. I significati delle cose, infatti,
costituiscono le possibilità che esse portano con sé e che l’Esserci articola
nel proprio progetto. Solo in virtù di
una precomprensione, dunque, le cose vengono incontro al soggetto in quanto
utilizzabili, e in quanto tali articolate nel progetto che il soggetto ha da
essere. In tal senso, il soggetto ha da essere il proprio "ci", «come
possibilità di rapporto al proprio essere (e cioè al mondo)».
Il Si “decreta” il modo di essere della
quotidianità. Ogni interpretazione del mondo e dell’Esserci è
innanzi tutto regolata dai modi d’essere del Si,
ovvero dall’essere-assieme quotidiano e indifferente, dalla contrapposizione
misurante, dalla medietà, dal livellamento, dalla pubblicità, dallo sgravamento
di essere e dal rendersi accetto. Nel Si, l’Esserci si smarrisce, le sue
possibilità sono disposte dagli altri. Il Si esime
l’Esserci da ogni responsabilità, in quanto, anticipando ogni giudizio e ogni
scelta, la colloca nell’indifferenza di una causa efficiente senza volto ma
onnipresente, a cui ogni nostra azione fa riferimento.
La comprensione può porsi
innanzi tutto nell’apertura del mondo, cioè l’Esserci può, innanzitutto e per lo più, comprendere se stesso a
partire dal proprio mondo.
Ma la comprensione può anche progettarsi primariamente nell’in-vista di
cui, cioè: l’Esserci può esistere
come se stesso. La comprensione o è autentica, cioè scaturente dal proprio
se-Stesso come tale, o non autentica.
La significatività è ciò rispetto-a-cui il mondo è aperto
come tale. La comprensione,
dunque, nella sua modalità inautentica
progetta l’essere dell’Esserci nella
significatività in quanto mondità del suo mondo rispettivo.
“Io sto al mondo come il mondo
sta a me.”
La comprensione genuina consiste in un’apertura originaria dell’essere al
mondo che, come afferma Heidegger, è «un carattere dell’Esserci stesso».
Tale apertura consiste nell’assunzione
degli enti intramondani nel progetto comprensivo dell’Esserci, che si determina
secondo le modalità essenziali del prendersi cura, dell’aver cura e della
visione dell’essere come tale in-vista-di-cui l’Esserci è sempre così com’è.
Gli enti intramondani non sono
oggetto di una conoscenza teoretica e contemplativa. Essi sono colti
pre-tematicamente da un conoscere fenomenologico che mira all’essere, e sulla
base di esso con-tematizza l’ente, che è sempre un ente utilizzato, prodotto
ecc. L’ente accede alla comprensione in base al nostro prenderci cura del
mondo, come possibilità costitutiva del nostro essere. Esso, quindi, è sempre
un mezzo (“per”). Heidegger chiama “utilizzabilità” (Zuhandenheit) «il modo di
essere del mezzo, in cui questo si manifesta da se stesso».
“Infatti, quando, per esempio,
vogliamo sederci, non ponderiamo tutte le possibili probabilità (la sedia ha
una gamba rotta, la sedia è finta, la sedia è sfondata…)prima di compiere
l’atto per essere totalmente certi del successo dell’atto stesso: ci sediamo e
basta, senza alcun ragionamento o teoria confortativa a monte.”
Potremmo dire che l’ente
intramondano, in quanto costituente primariamente un mezzo utilizzabile, porta
con sé originariamente delle possibilità a cui rimanda costitutivamente il
“per”, che sono colte nella “visione ambientale preveggente” (Umsicht).
Mantenendosi in familiarità
con l’apertura dei rapporti, la comprensione
si pro-pone i rapporti come ciò in cui si muove il suo rimandare. La
comprensione si lascia rimandare in questi rapporti e da questi rapporti. Il carattere di rapporto di questi
rapporti, propri del rimandare, lo indichiamo col termine significare.
Il mondo, dunque, si presenta
sempre in un complesso di utilizzabili
dotati già di significato. La
comprensione, allora, in quanto avente la costituzione essenziale del
progetto, “articola” tali significati in
possibilità, si progetta in essi. Gli utilizzabili rimandano alle
possibilità che l’Esserci può afferrare, sulla base dell’appagatività che ha luogo con ciascuno di essi.
Nella comprensione, che è
sempre emotivamente situata, l’Esserci, progettandosi secondo possibilità,
assume gli enti intramondani come mezzi utilizzabili, secondo il significato in
cui già sempre si danno alla visione ambientale preveggente. Non trattandosi di
semplici-presenze, ma di utilizzabili esistenzialmente connessi al carattere di
progetto dell’Esserci, non bisogna commettere l’errore di considerare il
progetto come un’entità strutturalmente autonoma dagli utilizzabili, in cui
questi ultimi vengano inseriti, quasi come accessori, in un secondo momento. Il progetto è costituito sempre a partire
dalla mondità del mondo, dunque esso si fonda sempre sull’utilizzabilità degli
enti intramondani, con i quali ha sempre luogo un’appagatività.
“Il solo guardare alle cose
nel loro rispettivo aspetto, anche se acutissimo, non può scoprire l’utilizzabile.”
L’Esserci si muove in un
complesso di appagatività aperto dalla comprensione, che fa sì che esso non si
rapporti a semplici-presenze, ma a utilizzabili strumentalmente disponibili al
suo progetto. L’appagatività che ha luogo con ciascun utilizzabile è fatta
emergere nell’ interpretazione. Così
l’Esserci scopre l’ente in modo originario, l’ente ha senso proprio perché esso diviene comprensibile all’Esserci.
L’interpretazione, muovendosi a partire dalla comprensione,
si fonda su pre-disponibilità, pre-visione e pre-cognizione.
Tale pre-struttura, in quanto
determinata dalla comprensione, che a sua volta si muove in una totalità di
significatività con cui si dà il mondo, nella comprensione inautentica ma
genuina emerge dalle cose stesse, e non risulta invece dettata “dal caso o
dalle opinioni comuni”. Solo in questo modo è garantita la “scientificità” della comprensione.
L’Esserci, in quanto immerso nella pubblicità del Si, si
accomoda sulla comprensione media che il linguaggio porta con sé, finendo per essere presso ciò
che il discorso dice come tale. Piuttosto che appropriarsi
originariamente dell’ente di cui discorre, l’Esserci si preoccupa del discorso
sciolto da ogni comprensione fondamentale con l’ente. L’Esserci discorre per il puro
gusto di discorrere, accede a ogni cosa senza appropriarsene, prendendosi cura
del semplice aspetto delle cose stesse.
In tale stato interpretativo l’Esserci risulta rassicurato
dal fatto che gli enti si danno sempre alla stessa maniera, e persino i progetti e le
possibilità risultano predecisi sulla base di ciò che si dice e si fa. Le cose
non sono degli utilizzabili compresi in quanto possibili, progettati. L’Esserci
non si sofferma su di essi, né l’ente assume un senso in quanto rientra, quando
è compreso, nell’apertura originaria dell’Esserci. L’ente è così com’è perché
tutti lo considerano tale, il suo senso si fonda su un oblio che catalizza le
opinioni comuni rafforzandole, rendendole l’unico appiglio di fronte
all’angoscia, alla infondatezza dell’Esserci come tale.
Tutto è colto a partire da un
sottofondo che invade le cose superficialmente, rendendole accessibili nel loro
aspetto pubblico, ma celandole nel loro essere “in sé”.
L’Esserci che si mantiene nella chiacchiera, in quanto essere
nel mondo è tagliato fuori dal rapporto ontologico primario, originario e
genuino col mondo, col con-esserci e con l’in-essere stesso. È chiusa, allora l’apertura
originaria dell’Esserci all’ente, che assumeva l’utilizzabilità dell’ente
intramondano stesso come “norma” della comprensione.
Se è vero che «l’essenza della verità si
disvela come libertà», tale libertà non è una facoltà di cui l’uomo dispone,
quasi fosse un atto arbitrario e “soggettivo”. È essa, piuttosto, a disporre di lui, in quanto «l’aprirsi dell’ente
non è qualcosa che l’uomo possa scegliere, perché costituisce l’Esserci stesso
come tale in quanto essere del mondo». L’originarietà dell’apertura
alla cosa consiste nel fatto che «noi ci sforziamo effettivamente di
confermarci alla cosa, cioè assumiamo la cosa come norma».
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