PAURA DI MORIRE O DI VIVERE?


Se fossi vissuto un altr'anno
avrei perfezionato la mia macchina volante,
e sarei divenuto ricco e famoso.
Perciò bene ha fatto l’artigiano
che ha tentato di scolpirmi una colomba
a farla più somigliante a un pollo.
Cos'è in fondo la vita se non uscire dal guscio
e scorrazzare nel cortile
fino al giorno del ceppo?
Solo che l’uomo ha l’intelligenza d’un angelo
e vede la scure sin dal primo momento!

("Antologia di Spoon River", "Franklin Jones")

Riflessioni che ne seguono... (partendo dal pensiero di Soeren Kierkegaard)

Se l’esistenza è libertà, vuol dire che noi abbiamo comunque sempre la possibilità di scegliere qualsiasi alternativa. L’angoscia è la coscienza della nostra terribile libertà : tutto ci è possibile, quindi possiamo anche perderci, andare in contro al disvalore, al nulla. L’angoscia è il puro sentimento del possibile; è il senso di quello che può accadere e che può essere molto più terribile della realtà. L’angoscia caratterizza la condizione umana. Ma l’importante è capire che l’angoscia forma : essa infatti distrugge tutte le finitezze, tutte le nostre presunte certezze assolute,  scoprendo tutte le loro illusioni.

Se l’angoscia è tipica dell’uomo nel suo rapportarsi col mondo, la disperazione è propria dell’uomo nel suo rapporto con se stesso; è l’incapacità di risolvere il rapporto con se stessi; è la colpa dell’uomo che non sa accettare se stesso nella sua profondità; è vivere, giorno dopo giorno, la propria incapacità di vivere, cioè è un eterno morire senza tuttavia morire fisicamente; essa è dunque la malattia mortale, non perché  conduca alla morte dell’io, ma perché è “il vivere la morte dell’io”. Il credente però possiede il “contravveleno” sicuro contro la disperazione : è la fede, il credere che a Dio tutto è possibile. La fede è l’eliminazione della disperazione, per cui l’uomo, pur orientandosi verso se stesso e volendo essere se stesso, non si illude della sua autosufficienza ma riconosce la sua dipendenza da Dio. La fede sostituisce alla disperazione la speranza e la fiducia in Dio. Ma porta l’uomo al di là della semplice razionalità : essa è, come sappiamo,  paradosso e scandalo.

Del resto, la verità cristiana non è per Kierkegaard una verità da dimostrare, ma è piuttosto una verità da testimoniare. Kierkegaard afferma, a questo proposito, che “la soggettività, l’interiorità è la verità” intendendo non certo che la verità è soggettiva o relativa, ma che la verità è tale quando è scelta e vissuta in prima persona, quando è una “verità per me”, per la quale io possa vivere e anche morire. E questa è proprio la verità quale mi viene dal Cristianesimo : esistere vuol dire rapportarsi alla verità che è Cristo, vuol dire scegliere di vivere la fede, testimoniando con la propria vita l’importanza della verità in cui si crede, contro ogni speculazione astratta, che non mette in questione il singolo.

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