Nel nord della Francia, Ali si ritrova improvvisamente sulle spalle Sam, il figlio di cinque anni
che conosce appena. Senza un tetto né un soldo, i due trovano accoglienza a sud, ad Antibes,
in casa della sorella di Alì. Tutto sembra andare subito meglio. Il giovane padre trova un lavoro
come buttafuori in una discoteca e, una sera, conosce Stephane, bella e sicura, animatrice di
uno spettacolo di orche marine. Una tragedia, però, rovescia presto la loro condizione. A partire da alcuni racconti del canadese Craig Davidson, Audiard e Thomas Bidegain,
già coppia creativa nel Profeta, traggono un racconto cinematografico a tinte forti, temperate
però da una scrittura delle scene tutta in levare. La trama e la regia sono estremamente
coerenti nel seguire uno stesso rischiosissimo movimento, che spinge il film verso il
melodramma e non solo verso la singola tragica virata del destino ma verso la
concatenazione di disgrazie, salvo poi rientrare appena in tempo, addolcire l'impatto della
storia con "la ruggine" di un personaggio maschile straordinario, per giunta trovando
un appiglio narrativo che tutto giustifica e tutto rilancia. Un equilibrismo che può anche infastidire
ma che rende il film teso, malgrado alcune mosse prevedibili. Come spesso, nella filmografia di Audiard, corpo e spirito fanno tutt'uno, si ammaccano e
si rimarginano insieme, senza bisogno di troppe parole: al contrario, la comunicazione, specie
quella femminile, passa attraverso un linguaggio muto ma intimamente comprensivo
(qui è Stef che "parla" con l'animale ma anche il "dialogo" sessuale che si approfondisce
senza l'uso di parole). La macchina da presa del regista non è certo invisibile e le tesi, dietro il suo modo di filmare,
sono sempre molto evidenti. Questo film non fa eccezione e anzi spinge più che mai sui
contrasti manichei tra bellezza e squallore, forza e debolezza, spirituali e letterali, fin quasi alla
maniera. Ma raggiunge un risultato non scontato laddove, pur essendo in realtà un lavoro
molto scritto, dove tutto, fin dal primo istante, è pensato per tornare a domandar vendetta,
la direzione degli attori e la qualità dei dialoghi ci distraggono magistralmente, facendo sì che
non ce ne accorgiamo quasi mai. La capacità del miglior cinema di Audiard di scartarsi da
un percorso troppo rigido o incline alla retorica, questa volta non si manifesta né a livello di
soggetto né di regia ma si ritrova più sottilmente nelle pieghe della messa in scena, nei gesti e
nelle espressioni degli attori.
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